sabato 9 gennaio 2010
Io sto col topo
di Matteo Di Gesù
Io sto col topo. Perché contro chi o cosa questo tizio stia puntando la pistola, tutto sommato, mi interessa poco. Tanto meno sapere chi sia o perché lo stia facendo. Che sia lì per caso, o che invece voglia farsi notare, non conta: non me ne importa di lui, del suo abbigliamento assurdo, delle intuizioni ardite del suo barbiere. E nemmeno di quell'altro nano me ne cale un granché: ha la stessa faccia ottusa e per di più un'espressione di indifferenza complice (quei calzoni corti, poi, sembrano uno stratagemma per suscitare benevolenza, ma non mi inteneriscono affatto). Neppure il posto in cui si trovano i due mi incuriosisce tanto, con tutte quelle persiane serrate, al di là delle quali si nascondono di sicuro volti uguali ai loro: e del resto, oltre a quei palazzi, dietro a quella strada, si respirerà la stessa aria inospitale, cupa e assolata.
Io, insomma, sto col topo. E' il fumetto sbigottito del manifesto, che mi commuove. E' lui il solo capace di paura o pietà, nell'universo in cui è precipitato ma al quale sa di non appartenere. E' per lui che parteggio. E' con lui, semmai, che compatisco.
(Questo il racconto sotto forma di saggio del mio amico Matteo Di Gesù, critico letterario e italianista, per il mio progetto pittorico-letterario Scorci e squarci, che Due Punti Edizioni ha trasformato nel 2004 in un libretto-gioiello. Il dipinto è stato esposto a lungo alla Fiumano Fine Art di Londra, poi è stato utilizzato per la copertina del libro di Alejandro Luque "La defensa siciliana", poco prima di finire appeso alla parete del salotto di casa sua a Siviglia).
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Le frazioni si possono semplificare, le città no. Non si può scattare una foto a due colori, per distinguere senza errore i buoni e i cattivi. Ci sono talmente tanti strati, talmente tanti livelli intrecciati tra loro, che è necessaria un'opera certosina di discernimento nei 156 milioni di colori (o molti di più) della realtà. Ammesso poi che serva a qualcosa.
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