lunedì 29 ottobre 2012

Crocetta e delizia

In Sicilia vincono Crocetta e Grillo. Così sia. Finisce male la destra. Il cavaliere forse se ne resta nel sarcofago.

domenica 28 ottobre 2012

Un casino benefico, forse

Guardandomi attorno ho la sensazione sempre più evidente che Grillo per interposto candidato di cui nove elettori su dieci non sanno pronunciare correttamente il cognome (e di cui non conoscono il nome: cioé in sintesi non sanno chi sia) prenderà non una barca di voti, ma un transatlantico (tipo Titanic o Costa Concordia) di suffragi. E questo dovrebbe significare che domani la Sicilia si ritroverà ingovernabile. Ma non la vedo come una tragedia e neppure drammatizzerei più di tanto: forse è l'inizio timido e pallido della soluzione. Mi spiego: una Sicilia non governabile porterebbe a scelte obbligate, dunque meno frastagliate, meno pasticciate, meno consociative, meno ricattatorie. Insomma, potrebbe indurre i partiti, i movimenti, i condomini e i club a confluire in due schieramenti. Uno di destra e l'altro di sinistra. Dove ovviamente spiccherebbero i narcisistici distinguo, ma alla fine l'elettore di destra voterebbe la sua parte (cosa su cui non dubito minimamente) e l'elettore choosy di sinistra sarebbe costretto dopo non pochi contorcimenti ed attacchi gastrici a votare, chi col naso turato e chi con i guanti e il disinfettante, il proprio schieramento. Forse Grillo e il suo casino organizzato serviranno a qualcosa.

La sinistra evaporata

Serata tra amici alla vigilia del voto. Siamo in otto. Tutti di sinistra, tutti più o meno in disaccordo. Prevale l'incertezza su chi votare. Si fa avanti l'elettore col voto di protesta (Grillo), controbatte l'elettore disincantato che decide per l'astensione, si insinua l'elettore col voto utile (Crocetta) e dice la sua l'elettore col voto di testimonianza (Marano). E' uno scontro dai toni pacati e rassegnati che si agitano un po' quando chi voterà Grillo si dice sicuro che la protesta andrà a segno: ma è l'astensionista a smontarlo con argomenti forti, concludendo che la protesta è concreta se prevale il non voto e riconoscendo tuttavia che la Marano meriterebbe il voto di simpatia. Si apre il dibattito sul voto perdente a Fava che ha commesso l'enorme stupidaggine di trascurare i documenti della burocrazia. Prende coraggio allora chi pensa che Crocetta potrebbe essere l'unica alternativa alla destra di Musumeci e Miccichè. Ma i più scafati parlano di contiguità con il governo Lombardo. E qui siamo tutti d'accordo anche perchè non è così palese e proficua la sconfitta del berlusconismo. Prevale la disistima a vario titolo per Crocetta. Si apre il dibattito sul Pd spaccato e responsabile di questa liquefazione (e poi evaporazione) della sinistra. Riprende fiato il grillino dell'ultima ora. Si insinua nel dibattito incerto e a zig-zag la ridiscesa del cavaliere che condanna la magistratura a quarant'anni di lavori forzati. Ci si accorge che Grillo è l'altra faccia della medesima medaglia: tornano in campo Crocetta e Marano. La leader della Fiom raccoglie il consenso e la di simpatia di quasi tutti (ma non il suffragio concreto), Crocetta non viene preso in considerazione, ma almeno due degli astanti pensano di votarlo turandosi il naso. Questa, in un microcosmo di persone avvedute, la sintesi di cosa è oggi la sinistra e di cosa sarà il voto oggi in Sicilia.

Satira dell'ora solare

L'ultima vignetta è stata disegnata prima che il cavaliere ci ripensasse. Dunque le case chiuse che erano state chiuse per qualche ora, riaprono.

venerdì 26 ottobre 2012

La comunicazione è tutto: anzi, nulla

I pubblicitari di oggi sono dei falliti: continuano a non capire come si comunica (cosa gravissima se considerate che questa è l'epoca della comunicazione per definizione). Mancano di talento o sono dei narcisisti che antepongono la loro ideuzza al prodotto? E a quanto pare i committenti, nella maggior parte dei casi, si dimostrano ostinati masochisti nel far naufragare miseramente il loro prodotto affidandolo a mani incapaci e velleitarie. L'unica pubblicità che ha bucato lo schermo e ci ha rotto ampiamente le gonadi, lasciando un segno indelebile, inconfondibile, decisamente efficace, è quella che promuove i prodotti da forno bucolici con la faccia di Antonio Banderas. Piaccia o no. E se non siete dei teen-agers ricorderete che la réclame degli anni sessanta era una macchina da guerra micidiale: non sbagliava mai un colpo: Cynar, China Martini, Brillantina Linetti, Coppertone, Colgate, Coca Cola, Olio Sasso, Salame Negroni. Nove su dieci avevano, i committenti di allora, la fortuna di essere pubblicizzati come Dio comanda. E di vendere grandiosamente. Oggi, fatte salve rarissime eccezioni, compresa la mercanzia pubblicizzata dall'ex sex-simbol spagnolo, feticcio di Almodovar, non resta nulla. Tutto questo per dire che la comunicazione è tutto: e l'unico che sta lasciando il segno, politicamente parlando, che piaccia o no (a me per esempio non piace neanche un po') è Beppe Grillo. E' l'unico brand in grado di farsi ascoltare, di lasciare i suoi graffi sulla pellaccia coriacea di tutti, anche delle persone più scafate. E' l'esatto contrario della querula Fornero, che passa dal pianto melodrammatico ai termini speciosi da prima della classe: sarà presto salutata da una selva di calci in culo. Grillo vincerà e sarà un problema politico non da poco: dice di essere incompetente e noi gli crediamo. Comunicare bene il nulla è un'arte sopraffina.

giovedì 25 ottobre 2012

Il mio amico Miki

Provo piacere, ma con una punta sottile e acuta di sofferenza quando per strada, con Miki accanto che tira-giocherella-annusa, chi mi vede compiaciuto e trafelato, mi dice sorridendo: Miki è un cane fortunato (sottintendendo: ad avere me come attento, premuroso ed amorevole proprietario: compagno di vita, direi io). Mi compiaccio senz'altro, ma vorrei ribattere (e non lo faccio perché sembrerebbe una sottolineatura pedante e intellettualistica) che anche io sono fortunato, al pari di Miki. Tralascio il pistolotto circa il fatto che mi sento perfettamente alla pari con una creatura come il mio adorabile meticcetto: e spiegarlo per filo e per segno a chi mi conosce avrebbe un che quanto meno di pleonastico. Però lo dico qui, in tutta libertà: sono fortunato ad avere Miki come compagno "animale" di vita. Ho scoperto, in questi mesi di felice e sudatissima convivenza, che un canuzzo come il mio fa bene alla salute: a parte il beneficio psichico, è un buon farmaco naturale per abbassare quei parametri biochimici che in genere ad una certa età tendono ad andare all'insù. Miki è fortunato ad avere me. Io sono fortunatissimo ad avere lui.

domenica 14 ottobre 2012

800A: salto di qualità

Quando ero piccolo, ma proprio bimbetto con i calzoncini corti, sui muri di Palermo imperversava ossessivamente una scritta, un verbo coniugato all'imperativo, seconda persona: "Suca". Ed è sicuro che anche prima che io mettessi piede in questo mondo, questo invito imperioso sarà stato vergato ad libitum su muri palermitani di ogni tipo. Dai palazzi nobiliari alle casupole sottoproletarie. Da allora (e prima) ad oggi "Suca" è un must imprescindibile nel gergo palermitano. Il significato lo sanno tutti o quasi: cercherò di dirlo con parole mie ai pochissimi che ancora lo ignorano. Vuol dire "Succhia". Cioè letteralmente "Fai una fellatio". E' un imperativo categorico, aspro e prepotente, ma generico, globale, democratico: rivolto a tutti coloro che incappano nella sua lettura. Quando non è scritto compulsivamente sul muro, in genere è pronunciato con significato doppio: se rabbioso, è la replica come ultima ratio a qualcosa che non si gradisce. Per esempio di fronte alla constatazione di una difficoltà da affrontare, mediamente, il palermitano risponde "Suca". Ma il "Suca" è anche ironico: lo si può proferire amichevolmente con leggero sarcasmo a chi ci sta chiedendo qualcosa da fare e che non avremmo voglia di fare, ma che poi facciamo. Il "Suca" è un verbo lenitivo, in questa accezione. Capita che venga ammorbidito, ridimensionato, quando si fa teorico (scritto casualmente sul foglio di un quaderno, sulla copertina di un libro) con l'arrotondamento-aggiustamento delle consonanti "S", "C" e della vocale "U". La vocale finale" A" è zona franca. Esce fuori un "falso", cioè una sigla, (da spy story) "800A". In genere tutti sanno cosa significa 800A, tanto che questo 800A fa arrossire (le signorine fuori moda) alla stregua di uno squillante SUCA proprio perchè fintamente camuffato: dunque più imbarazzante, più trasgressivo. 800A è un Suca travestito di tritolo pronto a esplodere. Ho scoperto di recente che "Suca" imperversa a Milano quasi quanto "Minchia" e penso che la 'Ndrangheta che ormai ha saturato Milano più della stessa Calabria, invidierà a noi palermitani questo primato idiomatico. Dovrà farsene una ragione. Poco fa , per strada, imbattendomi nell'ennesimo cartellone elettorale, di rara bruttezza, ho notato che sotto l'illeggibile e stupidissimo slogan c'era una frase nuova e antica allo stesso tempo: "Suca a mia". "A mia", che significa "A me" e che si pronuncia "ammìa", è una novità, un salto di qualità da non sottovalutare: dal generico imperativo categorico anonimo (SUCA), all'invito forte e deciso a farsi fare una fellatio (SUCA A MIA). Ancora un po' e spunterà la firma. Insomma, tra qualche tempo sapremo che tizio chiederà a caio di fargli un servizietto senza tanti complimenti.

Le vignette della domenica

venerdì 12 ottobre 2012

Uno struggente romanzo grafico

di Rosanna Pirajno
La prima cosa che colpisce di questa storia composta a due mani di scrittura e disegno – una “graphic novel” con testo di Marcello Benfante, giornalista e scrittore e finissimo critico letterario e di costume, e tavole di Gianni Allegra, illustratore pittore autore satirico tra i più noti e pungenti del panorama sicul-nazionale -, è l’assenza di colore. Le pennellate abbaglianti e materiche, cifra connotativa del pittore-illustratore e pure vignettista che da Matita-Allegra quotidianamente ci dà la sveglia dalle pagine palermitane de La Repubblica, qui lasciano il posto a una mezzatinta pastosa e insieme tagliente, un bianco-nero-grigio allusivo delle storie noir che le pagine irregolarmente ripartite – e anche questa è una trasgressione della convenzione fumettistica – raccontano per immagini e “balloon-nuvolette” di dialoghi e descrizioni. Ora nessun critico si azzarderebbe più a relegare i fumetti in un genere letterario minore, soprattutto da quando il genere “comic-strip” o “bande déssiné” ha meglio esplicitato il suo legame con la società di cui è stato per certi versi espressione e voce narrante, per infine approdare al genere “graphic novel”, o “letteratura disegnata” come ribattezzato dal grande Hugo Pratt, che quel legame i grandi autori hanno consolidato con opere definitivamente consegnate alla storia della letteratura, come il Maus di Art Spiegelman insegna. Ora questo “Diario della pioggia” è a tutti gli effetti una graphic novel di ultima generazione, di quelli che sanno intensamente dosare le asprezze e le fosche suggestioni verbali dell’autore dei testi, Benfante, che sa essere cupo e disarmante quanto basta a immergere anche i lettori nell’inesorabile diluvio in cui si dibattono personaggi perseguitati dalla (mala)vita, con quelle iconiche di un disegnatore che smette i panni smaglianti del tratto satirico per indossarne di rigorosamente neri spruzzati di bianco-grigio, e così rappresentare con un “noir” grafico il “noir” letterario intriso dei molti mali di una società che si prefigura, sciascianamente, irredimibile. Un connubio di linguaggi, il verbale e l’iconico che determina l’essenza stessa del fumetto nel frattempo diventato altro, come anche questo “Diario della pioggia” dimostra, e che si rivela felice nel caso della raggiunta, perfetta, integrazione dei percorsi comunicativi che fanno scrivere a Gian Mauro Costa nella prefazione «la scrittura e il disegno si fondono con decisa efficacia», e il risultato finale è un dipanarsi «fra struggimento e spietatezza, tra amori gotici e violenze pulp» nelle storie in cui si imbatte l’io narrante Robinson, giovane corrispondente di un giornale di provincia destinatario delle cronache raccolte sul campo. In questa storia disegnata colpisce anche l’innovazione del percorso narrativo, che dipana in un efficace “due tempi” le storie che si interrompono al bivio di un imbocco, forse “felice” o forse no, per riprendere più oltre dove il “come andrà a finire” rimasto in sospeso troverà il suo, quasi sempre malauguratamente amaro, compimento. Una bella esperienza di lettura “totalizzante” che riunisce due autori, diversi ma non nuovi a collaborazioni letterarie, in una sintesi perfettamente riuscita. (Recensione apparsa sul numero di settembre-dicembre 2012 di Per Salvare Palermo)

domenica 7 ottobre 2012

E' stato il reality

"E' stato il figlio" e "Reality" due film originali, anche belli. Accomunati dal tema antropologico della dissociazione psichica di fronte al desiderio pseudo-esaudito o da esaudire con urgenza, con impellenza non più procrastinabile. Il primo, quello di Ciprì, soffre nella prima parte nell'entrare a pieno regime: l'ingranaggio è lento, forse più di quanto richieda la narrazione. Indugia eccessivamente in una serie di quadretti lirico-prosaici. Poi, sciolte le briglie nella seconda parte, il film si dispiega con grande potenza e con una drammaturgia piena e vigorosa, per giungere ad un finale shakespeariano di grande visionarietà. Il film è penalizzato, a mio avviso, dalla mancanza di equilibrio tra la star, Toni Servillo, e gli altri attori. Servillo è un campione di recitazione naturalistica (nella fattispecie, sposata ad un aplomb grottesco e ironico di portata eccezionale). Ma il grande attore, forse il più grande in attività in Italia, parla un palermitano surreale, mal masticato, e cozza con la naturalezza dello slang di attori come Raneli, Civiletti, Quattrocchi: in questo film, tutti di rara bravura. Il film di Garrone, invece, ha una compattezza mirabile, una continuità narrativa eccezionale, che patisce solo un paio di volte l'inserimento di spunti poetici troppo elaborati che rallentano eccessivamente il ritmo narrativo espressionista. Mi riferisco alla carrellata languida e sospesa all'interno del condominio: donne sovrappeso che si spogliano per andare a dormire, panzoni che consumano un'ultima fetta di anguria. E il finale psichedelico, troppo studiato, eccessivamente lirico. In compenso, il protagonista, Aniello Arena, è di bravura eccezionale. E il napoletano parlato da tutti gli altri non stenta mai a decollare: è napoletano stretto.

Chi rompe non paga

Oggi su Repubblica, in prima.

Domenicale