Si nasceva gia' grandi in quel mondo lontano,perche'tutto era imponente,maestoso.I pericoli erano continui,le bestie feroci,i precipizi,i vulcani.L'imminenza del pericolo strideva con la meravigliosa gamma di colori che il" maestoso" generava.Non c'era tempo per la contemplazione.Datro come tanti bambini aveva cominciato a cacciare appena mossi i primi passi e, come tanti, aveva visto morire i suoi genitori
Continuiamo la storia, perché adesso non può che essere solo una storia , una parte del loro cammino comune era stato coperto dalla cenere del vulcano, poi era anche piovuto e il vulcano si era assopito, soltanto un fumo denso si vedeva ancora in lontananza, la femmina si era appollaiata sull’albero e Urk stava cercando una preda, capiva che le radici e le graminacee che continuava a masticare lentamente facevano vivere, ma adesso per intraprendere il cammino serviva qualcosa che desse forza. Tra la bassa vegetazione un fruscio, era lui, il serpente verde, la pietra appena scheggiata, volò dalla mano di Urk e lo abbatté schiacciandogli la testa, ecco adesso avrebbe condiviso con la femmina la forza del serpente, ma chi viene, è uno come lui, ma non ha lo stesso odore, nemico, pensò e poi fu buio. Ecco il nemico cospecifico, la nostra storia non poteva cominciare che così, come ancora oggi continua.
Mosi era stato portato a caccia da un componente della sua tribù. Non era più un bambino, adesso aveva l'età per imparare a cacciare le bestie e iniziare a proccacciare il cibo per sè e gli altri uomini delle caverne. Mosi però non aveva ancora imparato ad usare quell'arma appuntita; la punta della freccia era cosparsa di veleno e doveva stare attento a non ferirsi se voleva evitare quello che succedeva agli animali che venivano colpiti da quell'arma mortale. Dopo pochi minuti cadevano a terra in preda alle convulsioni, poi della bava usciva dalla loro bocca fino a quando esalavano l'ultimo respiro. Mosi pensava che era molto più divertente giocare con gli animali piuttosto che colpirli a morte, ma la carne di quelle bestie era saporita e, quando non ne mangiava perchè la battuta di caccia era andata male, doveva tollerare i morsi della fame
Fermo. Fermo. Senza pensare, senza respirare, senza muovere neanche la mano che tiene ferma la lancia. Lo so che questo è il momento in cui tutto cambierà, che potrei non tornare più a riposare sulla mia pelle di orso nella casa di roccia di cui conosco ogni angolo e ogni spuntone di pietra. Fermo, fermo. Anche la pelle della schiena che si sta contorcendo dovrebbe stare ferma, ora. Il serpente pure è fermo: è mattina e fa freddo, lui non può muoversi. Vorrei essere freddo e senza movimento anch’io. Perché l’animale che sento ruggire basso con la voce di vulcano potrebbe non saltarmi addosso solo se sto fermo. Solo all’ultimo, se sento il che fa il salto, gli tiro addosso il serpente. E solo allora muoviti, serpente, e pungi la tigre negli occhi, ti prego. E solo allora mi muoverò, per correre verso la casa di roccia dove conosco ogni sasso.
Anche quella volta, come ogni volta che "palladifuoco" tornava a farsi vedere lassù dove non si arrivava, Gronko era uscito con 'Ngo. Ormai erano rimasti solo loro e Ngaga, sempre famelica, che li aspettava nella caverna. Gronko non capiva bene cosa stesse succedendo: uno alla volta i compagni se ne erano andati. Se ne erano andati e non erano più tornati man mano, Gronko ci aveva fatto caso, che la loro faccia si era ricoperta di peli o che avevano cominciato ad emettere un odore particolare che a Gronko piaceva molto. Quella mattina, dopo ore di marcia avevano visto una “Quattrozampe” particolarmente grossa, ma non l'avevano attaccata. ‘Ngo non aveva più la forza di prima e lui non era ancora forte abbastanza e poi erano rimasti in pochi alla caverna. Avevano trovato degli “Striscianti” e Gronko era riuscito, con destrezza, a catturarne un paio mentre ‘Ngo faceva fracasso battendo le zampe per terra e roteando il bastone per allontanare la “Quattrozampe”.
Piedi tagliati dalle pietre come lame e piccolo corpo esposto alle intemperie. Se ne andava così Ghughu, camminando alla scoperta di tutto ciò che lo circondava. Solo da pochi giorni aveva il permesso di allontanarsi dalla caverna: era ancora un piccolo cucciolo d'uomo, ma il coraggio non gli mancava. Cercava, prendeva e cacciava, per quanto gli consentisse la sua "piccola taglia", tutto ciò che gli capitava a tiro. Una mattina, mentre giocava con un serpentello appena scovato sotto una pietra, sentì il sibilo emesso dalle fauci di un grosso animale, e un alito di fiato caldo sbuffato sulle gracili spalle, lo fece rabbrividire.
E venne, finalmente il tempo di diventare uomo. Nderi accompagnò suo padre Igree al rito della caccia. Aveva già nove anni, i tempi erano maturi. Passava dal mondo del gioco – tra biglie di pietra e lance di legno – al mondo dei grandi, con al fianco la sua nuova lancia con la punta di selce scheggiata. Igree gli disse – Stammi sempre vicino, sei grande adesso, ma non abbastanza per poter cacciare i grandi demoni. Cerca piccoli animali e inizia con quelli. Ricorda, due piccoli roditori ed un serpente sfamano più di un mammut, se il mammut non vuole farsi uccidere. Il suo primo cibo procacciato fu proprio un piccolo serpente, più piccolo di lui, che non superava il metro e trenta. Dopo che lo prese in mano, la sua faccia felice, sotto un cespuglio di capelli nerissimi, prese lo stesso colore di questi ultimi. Una paura nera lo colse, mentre con la coda dei suoi occhi scorgeva una tigre dai denti a sciabola che lo aveva scelto per colazione. Non poteva vedere il padre dietro di lui - stesso cespuglio di capelli e stesse mandorle nere al posto degli occhi – ma lo sentiva, ne conosceva la presenza. Udì il tonfo della clava di suo padre sulla testa della tigre, e contemporaneamente un ruggito smorzato da uno spezzarsi di ossa craniche. Nderi si voltò di scatto e con fierezza finì la tigre. Un colpo secco alla giugulare con la sua lancia, come gli aveva insegnato nonno Laak. La sera la passarono con il clan. Davanti al fuoco, a mangiare carne di tigre e a sagomare una nuova clava per il piccolo uomo.
Si nasceva gia' grandi in quel mondo lontano,perche'tutto era imponente,maestoso.I pericoli erano continui,le bestie feroci,i precipizi,i vulcani.L'imminenza del pericolo
RispondiEliminastrideva con la meravigliosa gamma di colori che il" maestoso" generava.Non c'era tempo per la contemplazione.Datro come tanti bambini aveva cominciato a cacciare appena mossi i primi passi e, come tanti, aveva visto morire i suoi genitori
Continuiamo la storia, perché adesso non può che essere solo una storia , una parte del loro cammino comune era stato coperto dalla cenere del vulcano, poi era anche piovuto e il vulcano si era assopito, soltanto un fumo denso si vedeva ancora in lontananza, la femmina si era appollaiata sull’albero e Urk stava cercando una preda, capiva che le radici e le graminacee che continuava a masticare lentamente facevano vivere, ma adesso per intraprendere il cammino serviva qualcosa che desse forza.
RispondiEliminaTra la bassa vegetazione un fruscio, era lui, il serpente verde, la pietra appena scheggiata, volò dalla mano di Urk e lo abbatté schiacciandogli la testa, ecco adesso avrebbe condiviso con la femmina la forza del serpente, ma chi viene, è uno come lui, ma non ha lo stesso odore, nemico, pensò e poi fu buio.
Ecco il nemico cospecifico, la nostra storia non poteva cominciare che così, come ancora oggi continua.
Mosi era stato portato a caccia da un componente della sua tribù. Non era più un bambino, adesso aveva l'età per imparare a cacciare le bestie e iniziare a proccacciare il cibo per sè e gli altri uomini delle caverne. Mosi però non aveva ancora imparato ad usare quell'arma appuntita; la punta della freccia era cosparsa di veleno e doveva stare attento a non ferirsi se voleva evitare quello che succedeva agli animali che venivano colpiti da quell'arma mortale. Dopo pochi minuti cadevano a terra in preda alle convulsioni, poi della bava usciva dalla loro bocca fino a quando esalavano l'ultimo respiro. Mosi pensava che era molto più divertente giocare con gli animali piuttosto che colpirli a morte, ma la carne di quelle bestie era saporita e, quando non ne mangiava perchè la battuta di caccia era andata male, doveva tollerare i morsi della fame
RispondiEliminaFermo. Fermo. Senza pensare, senza respirare, senza muovere neanche la mano che tiene ferma la lancia. Lo so che questo è il momento in cui tutto cambierà, che potrei non tornare più a riposare sulla mia pelle di orso nella casa di roccia di cui conosco ogni angolo e ogni spuntone di pietra. Fermo, fermo. Anche la pelle della schiena che si sta contorcendo dovrebbe stare ferma, ora. Il serpente pure è fermo: è mattina e fa freddo, lui non può muoversi. Vorrei essere freddo e senza movimento anch’io. Perché l’animale che sento ruggire basso con la voce di vulcano potrebbe non saltarmi addosso solo se sto fermo. Solo all’ultimo, se sento il che fa il salto, gli tiro addosso il serpente. E solo allora muoviti, serpente, e pungi la tigre negli occhi, ti prego. E solo allora mi muoverò, per correre verso la casa di roccia dove conosco ogni sasso.
RispondiEliminaAnche quella volta, come ogni volta che "palladifuoco" tornava a farsi vedere lassù dove non si arrivava, Gronko era uscito con 'Ngo. Ormai erano rimasti solo loro e Ngaga, sempre famelica, che li aspettava nella caverna. Gronko non capiva bene cosa stesse succedendo: uno alla volta i compagni se ne erano andati.
RispondiEliminaSe ne erano andati e non erano più tornati man mano, Gronko ci aveva fatto caso, che la loro faccia si era ricoperta di peli o che avevano cominciato ad emettere un odore particolare che a Gronko piaceva molto.
Quella mattina, dopo ore di marcia avevano visto una “Quattrozampe” particolarmente grossa, ma non l'avevano attaccata. ‘Ngo non aveva più la forza di prima e lui non era ancora forte abbastanza e poi erano rimasti in pochi alla caverna. Avevano trovato degli “Striscianti” e Gronko era riuscito, con destrezza, a catturarne un paio mentre ‘Ngo faceva fracasso battendo le zampe per terra e roteando il bastone per allontanare la “Quattrozampe”.
Piedi tagliati dalle pietre come lame e piccolo corpo esposto alle intemperie. Se ne andava così Ghughu, camminando alla scoperta di tutto ciò che lo circondava. Solo da pochi giorni aveva il permesso di allontanarsi dalla caverna: era ancora un piccolo cucciolo d'uomo, ma il coraggio non gli mancava. Cercava, prendeva e cacciava, per quanto gli consentisse la sua "piccola taglia", tutto ciò che gli capitava a tiro. Una mattina, mentre giocava con un serpentello appena scovato sotto una pietra, sentì il sibilo emesso dalle fauci di un grosso animale, e un alito di fiato caldo sbuffato sulle gracili spalle, lo fece rabbrividire.
RispondiEliminaE venne, finalmente il tempo di diventare uomo.
RispondiEliminaNderi accompagnò suo padre Igree al rito della caccia. Aveva già nove anni, i tempi erano maturi. Passava dal mondo del gioco – tra biglie di pietra e lance di legno – al mondo dei grandi, con al fianco la sua nuova lancia con la punta di selce scheggiata.
Igree gli disse – Stammi sempre vicino, sei grande adesso, ma non abbastanza per poter cacciare i grandi demoni. Cerca piccoli animali e inizia con quelli. Ricorda, due piccoli roditori ed un serpente sfamano più di un mammut, se il mammut non vuole farsi uccidere.
Il suo primo cibo procacciato fu proprio un piccolo serpente, più piccolo di lui, che non superava il metro e trenta. Dopo che lo prese in mano, la sua faccia felice, sotto un cespuglio di capelli nerissimi, prese lo stesso colore di questi ultimi. Una paura nera lo colse, mentre con la coda dei suoi occhi scorgeva una tigre dai denti a sciabola che lo aveva scelto per colazione.
Non poteva vedere il padre dietro di lui - stesso cespuglio di capelli e stesse mandorle nere al posto degli occhi – ma lo sentiva, ne conosceva la presenza. Udì il tonfo della clava di suo padre sulla testa della tigre, e contemporaneamente un ruggito smorzato da uno spezzarsi di ossa craniche. Nderi si voltò di scatto e con fierezza finì la tigre. Un colpo secco alla giugulare con la sua lancia, come gli aveva insegnato nonno Laak.
La sera la passarono con il clan. Davanti al fuoco, a mangiare carne di tigre e a sagomare una nuova clava per il piccolo uomo.