domenica 14 marzo 2010

Fiaba preistorica - 4


Quadro Quattro

6 commenti:

  1. Resterò qui ad aspettare, perché è come quando è notte. Fuori non ci vado, di notte. Ora è come quando è notte. Ma se sarà sempre notte e io resterò ad aspettare, non arriverà il giorno. Arriverà un’altra notte, e io dormirò senza aspettare più il giorno. Come quando si sono addormentati mamma e papà. Chissà se la notte che non finisce fa rumore, quando arriva. Un rumore adesso lo sento: sono passi, forse è la notte che non finisce. «Chi sei?» grido. «Sono Aria». La tocco, conosco le mani. Le mie mani conoscono come gli occhi. Conosco una ciotola di pietra. Conosco il sapore del latte di capra. Aria, amatissima Aria.

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  2. Non riusciva a dormire, Ghughu.
    Teneva gli occhi sbarrati nella speranza di vedere qualcosa, una luce, un'ombra, una sagoma.
    Invece era tutto immerso nel buio.
    Immaginava la pietra su cui poggiava le spalle: grigia. Grigia con delle zone più scure. Nere. Nere perchè umide di acqua. Acqua. Azzurra. Azzurra come il cielo.
    Cielo con le nuvole. Nuvole: bianche.
    Bianche...
    Quanto avrebbe rersistito ancora??
    Per quanto tempo avrebbe potuto ricordare i colori?
    E tornarono di nuovo lo sconforto ed il pianto.
    Ad un certo punto un rumore -CHI E' LA'?!!!- Urlò Ghughu.
    Una voce sottile gli rispose -Ciao. Sono Nereah. E vivo qui. Ero fuori, a prendere del latte. Tu chi sei?-
    E si avvicinò piano, armata di un sorriso dolcissimo che Ghughu non potè vedere.

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  3. Lila lo trovò ancora lì a pomeriggio inoltrato, mentre cercava bacche e frutta. Vide i suoi occhi senza sguardo e ne ebbe compassione. Se non altro non puntavano alle sue morbide spume, come quelli di tutti gli altri uomini della tribù. Erano coetanei, ad occhio e croce. Gli si avvicinò. Un cumulo di sassi, urtato dai suoi piedi nudi rotolò. Nderi sperò fosse denti a sciabola. La pace era forse vicina. Quando sentì la sua voce,
    – Sono Lila. Tu chi sei? – rimase quasi deluso. Abbassò il viso e non rispose.
    Lei continuò:
    - Mi puoi sentire?
    - Lasciami in pace – sussurrò lui.
    - Che ti è successo?
    - Non posso più vedere. Non puoi fare niente per me, va’ via.
    - Aspettami qui, non muoverti…
    Dopo un po’ lei tornò, con una scodella di legno colma di latte.
    -Bevi questo. Ne hai bisogno. Poi vieni con me, non puoi rimanere qui da solo.

    Lui si alzò dal suo nido, allungò una mano e comincio a studiare il volto di lei con le mani. Nella fitta oscurità un raggio di luce filtrò attraverso le sue dita.
    - Il mio nome è Nderi.

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  4. Dopo avere dormito per tutta la giornata, Mosi arrivò a tentoni all'interno della sua caverna. Adesso che aveva perso la vista
    ogni piccolo spostamento gli sembrava un'impresa complicata, addirittura più difficile della caccia che gli adulti della tribù gli stavano insegnando. Come avrebbe fatto adesso a sopravvivere? Di certo sarebbe stato un peso per la sua tribù che avrebbe
    dovuto pensare alla sua sussistenza mentre lui sarebbe rimasto chiuso nel suo antro. Le sue giornate sarebbero state tutte uguali, una noia infinita. E se poi si fossero dimenticati di lui? Se poi si fossero stancati di pensare al suo mantenimento?
    La vita a quei tempi era già abbastanza complicata e non sempre c'era cibo a sufficenza per tutti: in quei casi i cacciatori avevano la precedenza a mangiare, d'altronde erano loro a catturare le prede e non potevano permettersi di rimanere senza
    forze. Mosi sarebbe stato sicuramente l'ultimo nella scala gerarchica ad avere diritto a un pezzo di carne. I suoi pensieri
    furono interrotti da un rumore di passi, qualcuno stava entrando nella caverna. Era Penda. E gli aveva portato una scodella
    di latte appena munto

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  5. Non sapeva quanto tempo era passato. Sapeva solo di avere tanto freddo, nonostante le pelli che lo avvolgevano, di avere tanta sete e tanta fame. Non sentiva muovere nessuno ormai da tanto tempo ed era pronto al grande sonno. Stava con gli occhi chiusi. Aveva paura del nulla che vedeva quando li apriva. Ad un tratto sentì dei passi che si avvicinavano. Ebbe paura e strinse ancora di più gli occhi. Poi sentì l’odore buono che aveva ‘Ngaga, l’odore che respirava quando mangiava da lei ma questo era più buono. Non era acido ma fresco. Una mano prese la sua e gli fece sentire una scodella. Lui, fiducioso,aprì gli occhi sperando di vedere e bevve.

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  6. Era passato molto tempo dall'ultimo pasto consumato,Datro sentì i passi di Orea e l'odore del latte.Non era abituato ad essere alimentato da altri, fu tentato di rifiutare,ma la dolcezza di Orea e la fame
    lo convinsero ad accettare la scodella che lei gli porse.Non poteva continuare a piangersi addosso,sapeva di dovere accettare il destino,per quanto crudele gli appariva

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