Le premesse erano quelle di un giornale di bordo di poche parole. Vorrei mantenere la promessa. Ma chi resta, perché resta? L'illustrazione la metto io. Il resto potreste scriverlo voi, no?
Un giorno mio padre ci disse: io lavoro tutto il giorno per voi, sto fuori con il caldo con il freddo, con la pioggia e con il vento. Solo una cosa vi chiedo figli miei, vi chiedo di fare il vostro lavoro. Il vostro lavoro è studiare, essere quello che io non son potuto essere. Non siamo ricchi, ma a scuola dovete andarci, questo pretendo da voi, dovessi non mangiare per pagare le tasse scolastiche e i libri. Dovete avere le possibilità che io non ebbi. Noi andavamo a scuola, a noi piaceva imparare. Mio padre voleva mandarmi al Classico, voleva diventassi Ingegnere, Avvocato, Insegnante... qualcosa del genere. Gli diedi la prima delusione, decisi di fare l'Industriale. Se ne rammaricò e mi accontentò... Continua.
Chi resta lo fa perchè crede che le cose possano cambiare... Perchè qui vuole vivere e non sopravvivere... Perchè "se ce ne andiamo tutti e lasciamo la nostra terra nelle loro mani, certo che le cose non cambieranno mai"... Insomma, chi resta ha ancora la speranza che una vaga felicità, QUI, possa esserci. Fin quando avremo la forza e la voglia di lottare, e fin quando la consapevolezza della validità dei nostri sforzi non ci abbandonerà, allora noi resteremo.
A Natale non tornerò in Sicilia perché non so cosa inventargli a mio padre. Lui mi ha incoraggiato a studiare, ma due mesi fa ho perso il lavoro e faccio il casalingo. Bado ai bambini, pulisco casa quando mia moglie va a scuola. Chissà se questo tipo di emigrazione è codificato: uno che se ne va e non torna perché si vergogna. Coccolo con cura la nostalgia di un mondo che tanto non ritroverei più: quello della partitella a pallone con gli amici, da ragazzino.
Per anni ho sempre pensato di scappare. Ma poi frenavo.Perchè devo essere io ad andarmene e non "loro"? Ho sempre pensato che restare e resistere fosse comunque una forma di testimonianza, quasi di occupazione del territorio che ci vogliono scippare (e lo fanno!) da sotto i piedi. Insomma una specie di "barcollo ma non mollo" sempre ondivago e battiatiano tra il "sì,... cambierà...no...non cambierà". Poi il lavoro mi ha portato a restare qui e per alcuni anni ho anche pensato e mi sono sentito partecipe di un progetto di cambiamento. Poi la disillusione e l'arrivo dei figli e con loro la necessità di farli crescere altrove. Mia moglie ed io otteniamo un trasferimento io a Roma e lei a Tivoli. Al momento del si definitivo ci arrestiamo.Ufficialmente perchè condanneremmo i bambini ad un tran tran da pendolari, sottratti di colpo all'affetto dei nonni e ad una vita comunque per loro ancora comoda.Non capirebbero, ci diciamo.Oppure è stata paura? o saudade preventiva? Comunque per ora siamo rimasti qua e ci riproponiamo di riprovarci in futuro,magari come ha detto poeticamente Giuseppe,facendo i noni in giro per l'Europa.
Un'altra domanda possibile è: Perchè andarsene? Anni fa decisi di andare a vivere a Milano perchè i palermitani non mi piacevano. Due anni dopo sono ritornata a Palermo. Non mi piacevano i milanesi.
@Anonino: Il tuo commento mi ha colpito e non poco. Ma non ti firmi neppure con uno pseduonimo? Ci terrei. Torna a raccontare più dettagliatamente la tua esperienza.
Io resto perchè prima, da lontano, guardavo a Palermo come all'emancipazione dall'asfissiante monotonia della provincia. Quando da piccolo accompagnavo mio padre che veniva a Palermo a vendere olio, vino e formaggi e potevo trovare i miei amati "giornaletti" nelle edicole, mi prendeva una strana voglia di non tornare al paese, di perdermi e ritrovarmi palermitano. E ora che sono diventato cittadino pure io, posso dire che questa città non mi ha deluso. Intendiamoci, è un amore difficile, spesso troppo duro da sostenere e portare avanti, tanto che mi ritrovo anch'io a fantasticare di vivere in qualsiasi altro luogo che non sia questo. E a maledire tutto quello che da queste parti non funziona (è il caso di fare un elenco?) Ma Palermo mi offre una dimensione cosmopolita (da capitale europea, forse un pò decaduta, ma pur sempre vitale) che riesce a convivere in una realtà ancora popolare e a portata di mano. Vi pare poco?
Vado a momenti, come un cielo d'aprile. Oggi ho portato le nuvole, ma spero di rimediare in futuro. Quelle partitelle a pallone evocate dal disegno di Gianni mi hanno portato ai colori violenti della preadolescenza, quando tutto sembrava possibile. Per contrasto ho pensato alle nuvole di oggi. Però anche fare il papà a tempo pieno non è male. Quando lavoravo dalla mattina alla sera (sfruttatissimo, ma appagato) mi mancava questa dimensione casalinga. Ora mi manca il versante "sociale" della vita. Ma non ci sono vie di mezzo tra il sole e le nuvole? yorick
Segue.. Un giorno ero con mio padre davanti un enorme palazzone a vetri e mi disse:Sai cosa c'è lì?! Sarebbe bello un giorno che tu lavorassi li. Io gli dissi:papà faccio l'istituto industriale, che devo fare li? Mi diplomai,in informatica, e mi iscrissi all'università. Prima botta, volevo già scappare ed andare a Pisa a studiare, ma non era materialmente possibile. Optai per Palermo, Ingegneria Elettronica. Prima lezione di analisi I, 300 persone in un aula e posti in piedi per la maggioranza. Alla fine del primo anno riuscii a dare solo Fisica e Disegno, mi ero fissato a provare analisi 3 volte. Il professore di fisica mi dette 26, quando si accorse che non avevo dato analisi mi disse: Ma come fa uno a prendere 26 in Fisica a non aver dato Analisi? Gli risposi:Lo chieda al professore Giovannelli o alla sua assistente, che neanche ti ascoltano e ti mandano via solo perchè hanno la premura di prendere i figli a scuola. Altro che Baroni... padreterni, visto che neanche hai la possibilità di essere ricevuto una volta. Decisi di partire per il militare, cominciavo a ricevere telefonate a casa per offerte di lavoro -parliano di circa 20 anni fa, epoca d'oro dell'informatica e società che adesso non assumono più. Una proposta comprendeva, guarda caso, un corso di 4 mesi in Svezia o Irlanda. Ma non essendo milite esente... Presi il coraggio a quattro mani e il rinvio al distretto militare e partii... Verso la fine dell'anno feci "oggi domani un concorso", e lo vinsi, ma fu un caso, stavo quasi per non andarci, ci andai perchè casualmente ero in licenza. Andai a lavorare in quel palazzo di vetro e alluminio, realizzai il sogno di ogni palermitano. Il sogno si infranse contro la realtà lavorativa e ...politica. Fummo colonizzati dai romani, sperai fossero meglio dei palermitani, ma mi sbagliavo. Fummo colonizzati dai milanesi... al peggio non c'è fine. Appurai con mano che un palermitano -quando lavora- vale 10 romani e 15 milanesi. Nonostante questo lottiamo giorno per giorno per non farci rubare il lavoro dai romani e dai milanesi. Non ho più possibilità di crescita professionale, dicono che se uno vuole crescere deve espatriare, si pensa solo da Roma in su.
Nel frattempo, negli anni, quasi un terzo dei miei colleghi migrò ad altre spiagge più lucrative e civili. Brasile, Germania, Veneto... Alcamo. Dicevano: Lo facciamo per dare una possibilità ai nostri figli... Qua non si può più vivere... Dai direttori a cui comunicavano le dimissioni ricevevano i complimenti, non già proposte per rimanere in azienda, e si che c'erano cervelli. Io decisi di rimanere, e qua mi sbagliai. Amavo e amo questa terra, son avido del suo profumo (evitate le battute) e del suo colorato calore, la sua gente i suoi cervelli. Nel frattempo mi sposai e feci due figli e qui finì. Mia moglie è più legata a mia suocera e a sua sorella che alla nostra terra, ma l'effetto è lo stesso. Non si va da nessuna parte, almeno insieme.Adesso però penso ai miei figli. Siamo a dopodomani, "oggi domani un concorso" era due giorni fa, non ci sono più concorsi -in senso lato- a Palermo, cosa dovranno fare i miei figli? Non già per una qualsiasi possibilità di lavoro, ma anche per studiare, Palermo è un disastro anche in questo. Io non sono per la fuga, sono per il ritorno da vincitore. Siamo cittadini del mondo, se potessi andrei fuori, metterei in tasca il meglio che riesco a trovare e tornerei a casa, per darlo a questa martoriata città. E questo vorrei dai miei figli, la ricerca di migliorare se stessi, anche in Germania, in Svezia, ovunque (non in Bielorussia), ma con l'occhio rivolto a Palermo. Voglio di più per i miei figli, come mio padre. Se mio figlio mi dice che vuole andare non posso che aiutarlo, ha il diritto di avere di più, come lo avuto io. Riconosco che adesso è il mio momento per lottare però, devo cambiare io questa città, questa mentalità. I figli possono portare idee nuove, ma i padri devono dissodare il terreno, preparare il campo, sennò hai voglia di seminare, non continueranno a crescere ne erba e ne lavoro. PS Scusate la lunghezza, la confusione e gli errori...ho scritto così come le pensavo
Perché resta, chi resta? Non parlo in prima persona, non ho avuto la necessità di partire anche se ne ho avuto, in seguito, la voglia. Ma ormai era troppo tardi per rinunciare ad una relativa sicurezza economica e rimettersi in gioco. Da oltre trent'anni però ho l'opportunità di frequentare giovani prossimi alla laurea (un campione, pertanto, non rappresentativo della popolazione) e ho capito che, di solito, chi resta lo fa per paura. Per paura di essere incapace di affrontare nuovi ambienti, nuove persone. Per paura di non trovare più "la famiglia" amorevole che lo protegge. Per paura di non farcela. Perché sono insicuri, non sono certi delle loro capacità. Di solito chi resta non ha imparato a camminare da solo, è convinto di "appartenere" a un mondo che non troverà altrove. Ma, ripeto, il campione a cui mi riferisco non è rappresentativo
@Silvia: Ti rimando alla rubrica di Natalia Milazzo che è pubblicata ogni sabato su Repubblica Palermo: è lo sguardo ironico e disincantato di chi vive a Milano ed è siciliano. E non sa cosa è meglio. @Mingo: Mi sa che tra qualche anno faremo il Club dei Nonni a Spasso per l'Europa...
E ti dirò di più, caro Gianni, bisogna scegliere bene la città in cui vivere, deve essere nelle proprie corde. Milano oltre essere bellissima nonchè grigia è anche il posto ideale dove lavorare anche se un tedesco non sarebbe d'accordo. E sanno divertirsi, anche. Io sono più adatta a Palermo, ancora comoda, a casa mia, posso contare su mia madre, adoro i miei amici, mia figlia va a scuola sotto casa, col sole passeggio a piedi nudi sulla sabbia. Non esiste un luogo ideale da cui scappare o in cui trovare posto. In ogni caso, manca sempre qualcosa...
Un giorno mio padre ci disse:
RispondiEliminaio lavoro tutto il giorno per voi, sto fuori con il caldo con il freddo, con la pioggia e con il vento. Solo una cosa vi chiedo figli miei, vi chiedo di fare il vostro lavoro. Il vostro lavoro è studiare, essere quello che io non son potuto essere. Non siamo ricchi, ma a scuola dovete andarci, questo pretendo da voi, dovessi non mangiare per pagare le tasse scolastiche e i libri. Dovete avere le possibilità che io non ebbi.
Noi andavamo a scuola, a noi piaceva imparare. Mio padre voleva mandarmi al Classico, voleva diventassi Ingegnere, Avvocato, Insegnante... qualcosa del genere. Gli diedi la prima delusione, decisi di fare l'Industriale. Se ne rammaricò e mi accontentò...
Continua.
Chi resta lo fa perchè crede che le cose possano cambiare... Perchè qui vuole vivere e non sopravvivere... Perchè "se ce ne andiamo tutti e lasciamo la nostra terra nelle loro mani, certo che le cose non cambieranno mai"...
RispondiEliminaInsomma, chi resta ha ancora la speranza che una vaga felicità, QUI, possa esserci. Fin quando avremo la forza e la voglia di lottare, e fin quando la consapevolezza della validità dei nostri sforzi non ci abbandonerà, allora noi resteremo.
A Natale non tornerò in Sicilia perché non so cosa inventargli a mio padre. Lui mi ha incoraggiato a studiare, ma due mesi fa ho perso il lavoro e faccio il casalingo. Bado ai bambini, pulisco casa quando mia moglie va a scuola.
RispondiEliminaChissà se questo tipo di emigrazione è codificato: uno che se ne va e non torna perché si vergogna. Coccolo con cura la nostalgia di un mondo che tanto non ritroverei più: quello della partitella a pallone con gli amici, da ragazzino.
Per anni ho sempre pensato di scappare. Ma poi frenavo.Perchè devo essere io ad andarmene e non "loro"? Ho sempre pensato che restare e resistere fosse comunque una forma di testimonianza, quasi di occupazione del territorio che ci vogliono scippare (e lo fanno!) da sotto i piedi. Insomma una specie di "barcollo ma non mollo" sempre ondivago e battiatiano tra il "sì,... cambierà...no...non cambierà".
RispondiEliminaPoi il lavoro mi ha portato a restare qui e per alcuni anni ho anche pensato e mi sono sentito partecipe di un progetto di cambiamento. Poi la disillusione e l'arrivo dei figli e con loro la necessità di farli crescere altrove. Mia moglie ed io otteniamo un trasferimento io a Roma e lei a Tivoli. Al momento del si definitivo ci arrestiamo.Ufficialmente perchè condanneremmo i bambini ad un tran tran da pendolari, sottratti di colpo all'affetto dei nonni e ad una vita comunque per loro ancora comoda.Non capirebbero, ci diciamo.Oppure è stata paura? o saudade preventiva? Comunque per ora siamo rimasti qua e ci riproponiamo di riprovarci in futuro,magari come ha detto poeticamente Giuseppe,facendo i noni in giro per l'Europa.
Un'altra domanda possibile è: Perchè andarsene? Anni fa decisi di andare a vivere a Milano perchè i palermitani non mi piacevano. Due anni dopo sono ritornata a Palermo. Non mi piacevano i milanesi.
RispondiElimina@Anonino: Il tuo commento mi ha colpito e non poco. Ma non ti firmi neppure con uno pseduonimo? Ci terrei. Torna a raccontare più dettagliatamente la tua esperienza.
RispondiElimina...Bello la tua barca piena di colori, verrò spesso a trovarti!
RispondiElimina@Silvia: Grazie! Lieto di averti dato un attimo di gioia.
RispondiEliminaIo resto perchè prima, da lontano, guardavo a Palermo come all'emancipazione dall'asfissiante monotonia della provincia. Quando da piccolo accompagnavo mio padre che veniva a Palermo a vendere olio, vino e formaggi e potevo trovare i miei amati "giornaletti" nelle edicole, mi prendeva una strana voglia di non tornare al paese, di perdermi e ritrovarmi palermitano. E ora che sono diventato cittadino pure io, posso dire che questa città non mi ha deluso. Intendiamoci, è un amore difficile, spesso troppo duro da sostenere e portare avanti, tanto che mi ritrovo anch'io a fantasticare di vivere in qualsiasi altro luogo che non sia questo. E a maledire tutto quello che da queste parti non funziona (è il caso di fare un elenco?) Ma Palermo mi offre una dimensione cosmopolita (da capitale europea, forse un pò decaduta, ma pur sempre vitale) che riesce a convivere in una realtà ancora popolare e a portata di mano. Vi pare poco?
RispondiEliminaVado a momenti, come un cielo d'aprile. Oggi ho portato le nuvole, ma spero di rimediare in futuro. Quelle partitelle a pallone evocate dal disegno di Gianni mi hanno portato ai colori violenti della preadolescenza, quando tutto sembrava possibile. Per contrasto ho pensato alle nuvole di oggi. Però anche fare il papà a tempo pieno non è male. Quando lavoravo dalla mattina alla sera (sfruttatissimo, ma appagato) mi mancava questa dimensione casalinga. Ora mi manca il versante "sociale" della vita. Ma non ci sono vie di mezzo tra il sole e le nuvole?
RispondiEliminayorick
Segue..
RispondiEliminaUn giorno ero con mio padre davanti un enorme palazzone a vetri e mi disse:Sai cosa c'è lì?! Sarebbe bello un giorno che tu lavorassi li.
Io gli dissi:papà faccio l'istituto industriale, che devo fare li?
Mi diplomai,in informatica, e mi iscrissi all'università. Prima botta, volevo già scappare ed andare a Pisa a studiare, ma non era materialmente possibile. Optai per Palermo, Ingegneria Elettronica. Prima lezione di analisi I, 300 persone in un aula e posti in piedi per la maggioranza. Alla fine del primo anno riuscii a dare solo Fisica e Disegno, mi ero fissato a provare analisi 3 volte. Il professore di fisica mi dette 26, quando si accorse che non avevo dato analisi mi disse:
Ma come fa uno a prendere 26 in Fisica a non aver dato Analisi?
Gli risposi:Lo chieda al professore Giovannelli o alla sua assistente, che neanche ti ascoltano e ti mandano via solo perchè hanno la premura di prendere i figli a scuola.
Altro che Baroni... padreterni, visto che neanche hai la possibilità di essere ricevuto una volta.
Decisi di partire per il militare, cominciavo a ricevere telefonate a casa per offerte di lavoro -parliano di circa 20 anni fa, epoca d'oro dell'informatica e società che adesso non assumono più. Una proposta comprendeva, guarda caso, un corso di 4 mesi in Svezia o Irlanda. Ma non essendo milite esente...
Presi il coraggio a quattro mani e il rinvio al distretto militare e partii...
Verso la fine dell'anno feci "oggi domani un concorso", e lo vinsi, ma fu un caso, stavo quasi per non andarci, ci andai perchè casualmente ero in licenza.
Andai a lavorare in quel palazzo di vetro e alluminio, realizzai il sogno di ogni palermitano.
Il sogno si infranse contro la realtà lavorativa e ...politica. Fummo colonizzati dai romani, sperai fossero meglio dei palermitani, ma mi sbagliavo. Fummo colonizzati dai milanesi... al peggio non c'è fine. Appurai con mano che un palermitano -quando lavora- vale 10 romani e 15 milanesi. Nonostante questo lottiamo giorno per giorno per non farci rubare il lavoro dai romani e dai milanesi. Non ho più possibilità di crescita professionale, dicono che se uno vuole crescere deve espatriare, si pensa solo da Roma in su.
Nel frattempo, negli anni, quasi un terzo dei miei colleghi migrò ad altre spiagge più lucrative e civili. Brasile, Germania, Veneto... Alcamo.
RispondiEliminaDicevano: Lo facciamo per dare una possibilità ai nostri figli... Qua non si può più vivere...
Dai direttori a cui comunicavano le dimissioni ricevevano i complimenti, non già proposte per rimanere in azienda, e si che c'erano cervelli.
Io decisi di rimanere, e qua mi sbagliai. Amavo e amo questa terra, son avido del suo profumo (evitate le battute) e del suo colorato calore, la sua gente i suoi cervelli. Nel frattempo mi sposai e feci due figli e qui finì. Mia moglie è più legata a mia suocera e a sua sorella che alla nostra terra, ma l'effetto è lo stesso. Non si va da nessuna parte, almeno insieme.Adesso però penso ai miei figli. Siamo a dopodomani, "oggi domani un concorso" era due giorni fa, non ci sono più concorsi -in senso lato- a Palermo, cosa dovranno fare i miei figli? Non già per una qualsiasi possibilità di lavoro, ma anche per studiare, Palermo è un disastro anche in questo. Io non sono per la fuga, sono per il ritorno da vincitore. Siamo cittadini del mondo, se potessi andrei fuori, metterei in tasca il meglio che riesco a trovare e tornerei a casa, per darlo a questa martoriata città. E questo vorrei dai miei figli, la ricerca di migliorare se stessi, anche in Germania, in Svezia, ovunque (non in Bielorussia), ma con l'occhio rivolto a Palermo. Voglio di più per i miei figli, come mio padre. Se mio figlio mi dice che vuole andare non posso che aiutarlo, ha il diritto di avere di più, come lo avuto io. Riconosco che adesso è il mio momento per lottare però, devo cambiare io questa città, questa mentalità. I figli possono portare idee nuove, ma i padri devono dissodare il terreno, preparare il campo, sennò hai voglia di seminare, non continueranno a crescere ne erba e ne lavoro.
PS Scusate la lunghezza, la confusione e gli errori...ho scritto così come le pensavo
Perché resta, chi resta?
RispondiEliminaNon parlo in prima persona, non ho avuto la necessità di partire anche se ne ho avuto, in seguito, la voglia. Ma ormai era troppo tardi per rinunciare ad una relativa sicurezza economica e rimettersi in gioco.
Da oltre trent'anni però ho l'opportunità di frequentare giovani prossimi alla laurea (un campione, pertanto, non rappresentativo della popolazione) e ho capito che, di solito, chi resta lo fa per paura. Per paura di essere incapace di affrontare nuovi ambienti, nuove persone. Per paura di non trovare più "la famiglia" amorevole che lo protegge. Per paura di non farcela. Perché sono insicuri, non sono certi delle loro capacità. Di solito chi resta non ha imparato a camminare da solo, è convinto di "appartenere" a un mondo che non troverà altrove.
Ma, ripeto, il campione a cui mi riferisco non è rappresentativo
Fara, Yorick, Lobo, Tanus: Grazie per le vostre testimonianze. C'è una grande sensibilità nelle vostre belle parole.
RispondiElimina@Silvia: Ti rimando alla rubrica di Natalia Milazzo che è pubblicata ogni sabato su Repubblica Palermo: è lo sguardo ironico e disincantato di chi vive a Milano ed è siciliano. E non sa cosa è meglio.
RispondiElimina@Mingo: Mi sa che tra qualche anno faremo il Club dei Nonni a Spasso per l'Europa...
Prenoto una poltrona anch'io Gianni.
RispondiEliminaE ti dirò di più, caro Gianni, bisogna scegliere bene la città in cui vivere, deve essere nelle proprie corde. Milano oltre essere bellissima nonchè grigia è anche il posto ideale dove lavorare anche se un tedesco non sarebbe d'accordo. E sanno divertirsi, anche.
RispondiEliminaIo sono più adatta a Palermo, ancora comoda, a casa mia, posso contare su mia madre, adoro i miei amici, mia figlia va a scuola sotto casa, col sole passeggio a piedi nudi sulla sabbia. Non esiste un luogo ideale da cui scappare o in cui trovare posto. In ogni caso, manca
sempre qualcosa...