sabato 27 febbraio 2010
Eravamo sudatissimi
Giocavamo otto ore al giorno, almeno. In piena estate e sotto un sole implacabile. Dalle 9 del mattino (qualcuno però si allenava col pallone contro il muro già dalle 8) fino alle 13. Pausa pranzo e si riprendeva alle 15, fino alle 19: ma se eravamo in parità (tipo 15 a 15) si andava ad oltranza. Io sudavo come tutti, più di tutti. Portavo con me un fazzoletto di cotone per detergermi la fronte: i goccioloni scorrevano dalla cima della testa (la mia era biondo platino per via del sole feroce) fino ai piedi (che cuocevano e talvolta friggevano), come ruscelli. Il sale dentro gli occhi mi accecava. Finita la partita ero una fontana e bevevo come un cammello. Una volta contai i bicchieri d'acqua. Ne bevvi venticinque.
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...sudatissimi e felici.Ricordo che palleggiavo col muro sotto casa e prima dell'una staccavo per correre a vedere "oggi le comiche".Quello che penso e' che il calcio,come tutti gli sport,e' una cosa bellissima,ed anche se puo' sembrare banale,e' una palestra che ti prepara alla vita.E' un gioco affascinante perche' di squadra ma da' spazio all'individualita'.Per anni e' stato un'isola in un mondo di corruzione e degrado.Quello che lo snatura dalla sua essenza e' l'antisportivita',il fanatismo,il business senza ritegno.E da anni lo seguo con la coda dell'occhio.
RispondiEliminaP.S. Sorry,decisamente sono andato fuori tema
Caro Badit, invece penso che sei rimasto dentro il post a meraviglia.
RispondiEliminaEra bello giocare. Era il nostro mondo. Non riuscivamo a immaginare niente di altrettanto appassionante, coinvolgente, capace di rubarci ogni pensiero. Era gioia pura correre con la palla al piede, saltare gli avversari, segnare, esultando come se ogni gol fosse l'unico gol del campionato, e invece era soltanto il numero ventuno della giornata. Era gioia anche confrontarsi, smarcarsi, dribblare. Imparare mi è costato fatica. All'inizio, quando i due più bravi facevano le squadre e chiamavano a sé i giocatori che volevano, io rimanevo per ultimo.
RispondiEliminaSono stato il capitano della Saetta, ma era una squadra di scalcinati votata alla sconfitta. Un paio di volte abbiamo espugnato il campo degli avversari più forti di noi, ma è stato il caso, la fortuna o chissà cosa.
RispondiEliminaNon facevo particolare simpatia all'allenatore. Sembrava proprio che ce l'avesse sempre con me. La volta che bevvi i venticinque bicchieri d'acqua, dopo la partita, il sudore, il rigore sbagliato, mi venne da fare la pipì. Eravamo su un pullmino vecchio e malandato, ballonzolavamo sulla strada tutte buche che portava di nuovo verso casa. Mi sentivo scoppiare. Chiesi al mister (che poi era anche l'autista)di fermarci, che avrei fatto in fretta, che non sapevo se sarei riuscito a trattenermi. Quello mi guardò di traverso e mi disse -Arrangiati. Io non mi posso fermare.-
RispondiEliminaNon parlavo e nel frattempo sentivo il volto tramutarsi.
Non resistetti.
Me la feci addosso.
I miei compagni capirono immediatamente e scoppiarono in una risata che riempì le mie orecchie fino a farle ronzare.
Tra tutte spiccava fragorosa la risata del mister: con la bocca aperta, i denti gialli, un occhio alla strada ed uno, beffardo, a me, mi sbatteva in faccia tutto il suo livore.
Mi piace questa dimensione sospesa tra letteratura e cinema (e vita vissuta sul serio).
RispondiEliminaIo ricordo che dopo l'oltranza si arrivava all'ora di cena e quale che fosse il risultato, c'era sempre uno che gridava :"chi segna l'ultimo vince..." e tutti comunque accettavano...perchè l'importante non era chi vinceva...ma giocare fino allo sfinimento...!
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