Aveva ripreso a piovere, era continua, ma a tratti si intensificava, il fiume si era ingrossato parecchio, l’acqua scorreva quasi a filo degli archi del ponte. Franco decise di passare la sera al bar sotto i portici, vicino casa sua, era amico di Amilcare, il cameriere, anche se questi era un tipo strano, aveva la fissazione di registrare di tutto, gli interessavano i rumori; con un vecchio registratore a nastro li catturava intramezzati a discorsi smozzicati dei clienti, fra il tintinnio dei bicchieri e lo stridere delle sedie mosse sul pavimento, ogni tanto qualche rumore era indecifrabile. Dopo la chiusura si sedettero a un tavolo per l’ultimo bicchiere e l’ultima sigaretta, Franco smanettava col registratore, quella sera c’era un rumore di sottofondo , in sordina, poi si intensificava, tornava in sordina, era la pioggia. – Han detto che la piena può tracimare dagli argini, se succede dovrebbe essere, grosso modo adesso- disse Amilcare e come l’avesse chiamata l’acqua cominciò a entrare dalla porta del bar, si sentiva un rombo sordo, in pochi minuti il bar fu invaso, il bello era che non si sentiva più il ticchettio della pioggia, aveva lasciato il passo al brontolio, all’isciacquio. In breve ebbero l’acqua alle ginocchia, Amilcare salvò il suo registratore, intanto l’acqua saliva, in breve ci sarebbero volute le barche, intanto fuori le macchine cominciavano a muoversi da sole, a fluire verso gli slarghi e lì ingrumarsi come un ammasso di relitti inutili, e l’acqua saliva ancora.
Le storie che raccolgo sembrano distanti, ma si intrecciano insieme. Come le storie di tutti gli uomini del mondo, prima o poi si congiungono. Come le gocce che cadono nel mio secchio, a casa: chissà da quale mare del mondo arrivano e ora si fondono. Per raccogliere la storia del barista Giacomino mi sono portato il Nagra. Di lui mi interessa anche la voce. Voglio ogni sua sfumatura. Qualcosa mi dice che servirà anche l’invisibile, presto. Giacomino la prende larga e parla del tempo. Racconta di quando si allagò il bar e la strada e la città annegarono sott’acqua. Ho l’impressione che parli per simboli, però serviranno anche quelli. Devo interpretarli, tocca a me. Devo raccontare questo nuovo diluvio che si porta via il mondo che conoscevamo. Devo raccontare la faccia dell’uomo che si aggrappa a un salvagente, convinto che quello basterà a salvargli la vita. Devo raccontarla perché anche la faccia di quell’uomo è un simbolo. Le nostre belle auto alla deriva sono simboli che non abbiamo saputo interpretare in tempo. Resteranno le parole e le sfumature di una voce che racconta un diluvio.
Tav 20- 23 Jean, salutò Sophie e sempre sotto la pioggia se ne tornò alla taverna. Aveva un buon rapporto con quel taverniere triste che gli riservava sempre un tavolo e un bicchiere di vino. Jean ci teneva pure il suo registratore e spesso riascoltava i nastri dove incideva le sue osservazioni e ne discuteva col taverniere triste e un po’ filosofo. Erano lì , seduti al tavolo quando sentirono Matilde urlare - All’acqua! All’acqua! Sulle prime pensarono ad uno scherzo ma poi, da dietro i vetri, videro che la via si era trasformata in una fiumana. Gente che urlava e sguazzava nell’acqua già alta. Già qualcuno si era attrezzato con gommoni per salvare quello che poteva dalle case che rapidamente si allagavano. Il torrente che passava sotto la città si era gonfiato per via della pioggia e la pressione dell’acqua aveva fatto esplodere tombini e tubature. Un inferno di freddo e fango si era abbattuto sulla città
Aveva ripreso a piovere, era continua, ma a tratti si intensificava, il fiume si era ingrossato parecchio, l’acqua scorreva quasi a filo degli archi del ponte. Franco decise di passare la sera al bar sotto i portici, vicino casa sua, era amico di Amilcare, il cameriere, anche se questi era un tipo strano, aveva la fissazione di registrare di tutto, gli interessavano i rumori; con un vecchio registratore a nastro li catturava intramezzati a discorsi smozzicati dei clienti, fra il tintinnio dei bicchieri e lo stridere delle sedie mosse sul pavimento, ogni tanto qualche rumore era indecifrabile. Dopo la chiusura si sedettero a un tavolo per l’ultimo bicchiere e l’ultima sigaretta, Franco smanettava col registratore, quella sera c’era un rumore di sottofondo , in sordina, poi si intensificava, tornava in sordina, era la pioggia. – Han detto che la piena può tracimare dagli argini, se succede dovrebbe essere, grosso modo adesso- disse Amilcare e come l’avesse chiamata l’acqua cominciò a entrare dalla porta del bar, si sentiva un rombo sordo, in pochi minuti il bar fu invaso, il bello era che non si sentiva più il ticchettio della pioggia, aveva lasciato il passo al brontolio, all’isciacquio. In breve ebbero l’acqua alle ginocchia, Amilcare salvò il suo registratore, intanto l’acqua saliva, in breve ci sarebbero volute le barche, intanto fuori le macchine cominciavano a muoversi da sole, a fluire verso gli slarghi e lì ingrumarsi come un ammasso di relitti inutili, e l’acqua saliva ancora.
RispondiEliminaLe storie che raccolgo sembrano distanti, ma si intrecciano insieme. Come le storie di tutti gli uomini del mondo, prima o poi si congiungono. Come le gocce che cadono nel mio secchio, a casa: chissà da quale mare del mondo arrivano e ora si fondono. Per raccogliere la storia del barista Giacomino mi sono portato il Nagra. Di lui mi interessa anche la voce. Voglio ogni sua sfumatura. Qualcosa mi dice che servirà anche l’invisibile, presto. Giacomino la prende larga e parla del tempo. Racconta di quando si allagò il bar e la strada e la città annegarono sott’acqua. Ho l’impressione che parli per simboli, però serviranno anche quelli. Devo interpretarli, tocca a me. Devo raccontare questo nuovo diluvio che si porta via il mondo che conoscevamo. Devo raccontare la faccia dell’uomo che si aggrappa a un salvagente, convinto che quello basterà a salvargli la vita. Devo raccontarla perché anche la faccia di quell’uomo è un simbolo. Le nostre belle auto alla deriva sono simboli che non abbiamo saputo interpretare in tempo. Resteranno le parole e le sfumature di una voce che racconta un diluvio.
RispondiEliminaTav 20- 23
RispondiEliminaJean, salutò Sophie e sempre sotto la pioggia se ne tornò alla taverna. Aveva un buon rapporto con quel taverniere triste che gli riservava sempre un tavolo e un bicchiere di vino. Jean ci teneva pure il suo registratore e spesso riascoltava i nastri dove incideva le sue osservazioni e ne discuteva col taverniere triste e un po’ filosofo.
Erano lì , seduti al tavolo quando sentirono Matilde urlare
- All’acqua! All’acqua!
Sulle prime pensarono ad uno scherzo ma poi, da dietro i vetri, videro che la via si era trasformata in una fiumana.
Gente che urlava e sguazzava nell’acqua già alta. Già qualcuno si era attrezzato con gommoni per salvare quello che poteva dalle case che rapidamente si allagavano.
Il torrente che passava sotto la città si era gonfiato per via della pioggia e la pressione dell’acqua aveva fatto esplodere tombini e tubature.
Un inferno di freddo e fango si era abbattuto sulla città