mercoledì 12 febbraio 2020

Warf


Claire Bretécher

La bellezza conta, eccome se conta. Quando per un giorno feci il sindaco per sposare l'amico artista Claudio Stassi e Francesca Martinico, misi da parte ogni convenevole etico e feci un sermone sulla bellezza, sulla loro bellezza: quanto di più etico in quel momento potesse esserci. Da ragazzino non ero male (sono migliorato col tempo!) ma affetto da una timidezza molesta decisamente fuori controllo. Ne conseguiva ovviamente un'enorme difficoltà di relazione con l'altro sesso. Disegnavo, ho sempre disegnato, perché speravo di disegnare un giorno fumetti. Non c'erano social, non c'era nulla che desse dritte e informazioni. E quei pochi disegnatori che avevo visto in foto non è che fossero degli adoni, in verità. Erano semplicemente bravi o bravissimi. E allora? Beh, c'era un vichingo emiliano che rispondeva al nome di Bonvi che aveva tutta l'aria di essere, oltre che genio e sregolatezza, un perfetto ed impareggiabile tombeur de femmes. Le sue Sturmutruppen mi facevano impazzire ma sapevo anche che l'artista era un apollo biondo, per niente timido. Dunque non poteva essere lui il mio modello. E si sa, idealizzare, ci porta alle nevrosi. E allora mi confrontai con un altro bell'uomo, ma introverso, forse timido, a giudicare dalle foto e da alcuni filmati rari. Guido Crepax, tenebroso e soprattutto autore di una eccitante e sensualissima Valentina onirica: appunto, la sognavo. Eravamo in tanti a sognarla più nuda di quanto già non fosse. Gli ormoni, si sa. Poi finì la smania dell'essere bello, subentrò una sana rassegnazione. E tra le pagine del vecchio Linus c'erano i Frustrati e Agrippina di una certa Claire Bretecher. Brutti, poco armoniosi, ma di un umorismo acido e di un'acutezza che raramente era capitato di leggere. Non sto a dirvi che disegni splendidi erano quelli. Prendeva per il culo i borghesi, se medesima, immagino. E la immaginavo un po' bruttina, anzi non la immaginavo affatto. Un giorno, era il 1977, sfogliavo distrattamente Epoca, un settimanale che andava per la maggiore. Inciampai sullo sguardo beffardo e infinitamente bello di una biondissima francese, di una bellezza abbacinante, un misto tra la miglior Brigitte Bardot e la bella copia di Jane Birkin: era Claire Bretecher. La bellezza. Punto. L'autrice caustica, geniale, inarrivabile di quelle donnine e di quegli ometti nevrotici e presi per il culo in malo modo. Mi tornò in mente la bella faccia goliardica e teutonica di Bonvi, sembrava sua sorella questa Claire Bretecher. Il tempo è passato, e mi capita di tanto in tanto di andare a Parigi. Da quando questo accade con una certa regolarità ho fantasticato di incontrare Claire Bretecher, una vecchia signora sempre bella, sempre brava. Per chiederle di farmi un autografo o per acquistare un suo originale. Per dirle: ma quanto è bella, madame Bretecher! Da oggi questo sogno purtroppo va messo in archivio. Chi non conosce questa artista, recuperi i suoi libri: sono bellissimi come lo era lei.

martedì 7 gennaio 2020

Mauno


La satira è satura

Ho disegnato satira per trentacinque anni. Potrei dire che ne ho abbastanza. Ma non è così. La satira, è una mia personalissima opinione, si fa col fiato sul collo. Ed è quella che viene fuori bene o benissimo quando ti resta meno di un'ora per consegnarla. I giornali stanno purtroppo collassando e la satira, quella che piace a me, è cartacea. Frugale e velenosa. Quella su fb è solo piacere onanistico. Non ha urgenza e non ti mette ansia. La matita satirica dunque va in quiescenza seppur giovane. Una privilegiata baby pensione. Ma come sempre l'apparenza inganna. Quella matita è sempre al lavoro. Ha solo voglia di raccontare storie. La vignetta puoi disegnarla in mezz'ora e viene consumata in 5 secondi. Non sono più i tempi che desidero. Perché ora desidero inventare romanzi e racconti disegnati che possono prenderti anche cinque anni. E vi assicuro, è più bello. Almeno, per me.