giovedì 31 gennaio 2013

Picasso, Matisse e Modigliani

Picasso è stato senza dubbio il più grande: favorito anche da una formidabile longevità (riferita sia alla sua vita biologica che a quella artistica). Ma fu un grande pirata: saccheggiò il sacchegiabile che rese sempre geniale, e unico nella sua revisione e "correzione". E tuttavia fu schiavo di un cubismo insincero, cupo, antiestetico, manierato, ossequioso. Solo quando si liberò dalle aride spigolosità del concetto-cubo, ritrovò la vena del bambino capriccioso che sempre abitava la sua anima irrequieta, egoista e patologicamente narcisista. Nel duello cromatico con Matisse perse clamorosamente: e se Picasso è ricordato per tutto quello che ha fatto (proprio tutto) Matisse lo batté sul versante meramente pittorico: il colore, la luce. Se Modigliani avesse avuto la fortuna di sopravvivere alle sue fragilità e alla sfortuna innata nei maledetti, Picasso avrebbe avuto un altro concorrente da tenere a bada: ma Modigliani in fatto di anima, sensualità e sentimenti non aveva eguali e avrebbe vinto sul genio dei geni.

giovedì 24 gennaio 2013

mercoledì 9 gennaio 2013

Povero cinema italiano

I registi mucciniani (i troppi epigoni di Muccino) che continuano a confezionare storie di cinguettii amorosi dovrebbero trovarsi un'altra occupazione: meno dannosa per il cinema italiano. Questa pornografia dei sentimenti che verrebbe spacciata come realtà e fotografia esistenziale dei trenta-quarantenni, adolescenti a vita, è una sbobba non più digeribile (e mai lo è stata). Ma ci avete fatto caso? Parlano tutti sussurrando velocemente e facendo il verso a Isabella Ferrari o a Laura Morante, a seconda se il copione prevede la donna tragico-esistenziale (che paio di palle) o quella nevrotico-isterica (che doppio paio di palle): ma che rottura di gonadi, basta! E pure i maschi così effeminati, con le pettinature ridicole e la camicia fuori dai pantaloni e che in recitazione valgono poco più di zero, con quella parlatina soffiata e depressa, infinocchiano lo spettatore assuefatto (e purtroppo ancora sprovveduto) ad ogni brodaglia. Se poi guardo il mio orizzonte, vedo la solta cartolina truce della mafia di maniera con la commissaria che sussurra minchiate e alla prima occasione si smutanda con il capo della Cia a Palermo. Tutto con quella parlata palermitana dicotomica: un po' cinemese (non palermitana e non catanese: del tutto reinventata, irritante fino all'urlo di Munch) e un po' slang strettissimo (appannaggio dei piccoli numi del cinema locale che di tanto in tanto si sdogana per andare a far visita alle multi-sale settentrionali): improponibile e involontariamente caricaturale: e che cazzo, basta! E poi gli epigoni del cinema del dopo-bomba, quello degli straccioni sottoproletari: quel cinema sa farlo solo Franco Maresco e imitarlo è perlomeno ridicolo e involontariamente grottesco. Piantatela con la lirica prosaica degli sdentati che puzzano di fame: non li conoscete. E se esistono ancora, hanno la parabola satellitare e lo smartphone.