lunedì 5 agosto 2013
Palermo è un fumetto
I segnali di incoraggiamento giunti a profusione nelle ultime ore nella caotica e vivissima page di facebook e la disponibilità di autori come Altan, Biani, Stassi, Bonaccorso, Rizzo, Lo Bocchiaro e altri esperti ed appassionati del settore (palermitani e no) che ora mi sfuggono ma che possono rimproverarmi pubblicamente, mi indicano in modo evidente che l'idea di un museo del fumetto da realizzare a Palermo è ottima. Eccellente. In sintesi estrema, la ribadisco. Un Museo che considerando la sede (sedentaria) solo un aspetto marginale (pur indispensabile) ha, in primis, la grande ambizione di raccontare Palermo: città al centro del Mediterraneo, città metafora, città difficile, città bellissima, città contraddittoria, città di storia e di cultura. Un museo che si esprime attraverso il medium meno dispendioso e più fantasioso che esista: il fumetto. In tutte le sue accezioni. Fumetto in senso stretto, dunque, ma anche fumetto che si mette in gioco attraverso la sintesi dell'illustrazione, la sinossi icastica della satira, la metafora "sorella" della pittura figurativa. E' già tanto, penserete: ma vi assicuro, è poco rispetto alle altre possibilità e potenzialità del progetto. Avremo modo di tornare a parlarne. Magari in termini più concreti. Intanto, grazie per la disponibilità la l'attenzione.
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Commento qui. Ho fatto un giro sul web tra ieri sera e stamattina: Lucca, Milano, Forte dei Marmi, NewYork, etc. La nona arte ha i suoi spazi. A Palermo deve emergere la contraddizione dell'arte, l'elaborazione del suo lutto, l'inizio della fine per sovraeccitare il re che sta morendo. Va bene la satira, va bene il fumetto, ma deve ergersi sontuoso il pensiero meridiano ovvero una filosofia della vita che è sopravvivenza e dignità, che è densità culturale e meltin'pot di linguaggi: la scoperta, cioè, di un nuovo mondo che consenta di comunicare più che di mostrare. Dunque, il museo non va messo in mostra ma diffuso per entrare nelle case di tutti. La cultura del nostro tempo ci dice che ogni tanto è bello fermarsi, ma che i luoghi spesso non stanno sulle mappe. Il Museo va pensato come una stazione di posta, quelle in cui i viaggiatori cambiavano (o facevano riposare) il cavallo: cioè, la dimensione è poco importante o, piuttosto, lo è meno della sua estensione. Questo vuol dire che anche le economie possono essere distribuite e le finanze diluite, le rappresentanze diffuse come l'ospitalità e dettagli (come sapori, gesti, suoni) possono trovare casa nel museo, si, ma al tempo stesso essere elementi ritrovabili nei piccoli laboratori, nelle gallerie, nelle aule a diffusione illimitata. Traduco: immagina di entrare nella sede del "museo", che corrisponde alla sua hall, e poi inoltrarti nelle sue stanze che sono distribuite in tutta la città (dentro le scuole, le associazioni culturali, il Palazzo delle Aquile e quello dei Normanni, l'assessorato alla Cultura e la Camera di Commercio, i ristoranti, i parchi e, perché no, le abitazioni), ogni sala dedicata a un tema, o a un autore, o a un luogo meridiano: un museo virale. Non si può pensare una terza via della modernità e poi scimmiottare pratiche e logiche obsolete. Può bastare per adesso?
RispondiEliminaArgomenti forti che corroborano l'idea e il progetto: idee di cui tenere conto!
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