venerdì 7 giugno 2013
La grandezza del Boss
Le cronache sui concerti italiani del Boss che leggo distrattamente per non infierire sul mio rammarico (potrei arrivare a sanguinare) di non essere andato a vederlo, riferiscono di un rinnovato successo che non si ferma più: lo capisco, lo so per esperienza diretta. Lo scorso anno, a Milano, esattamente un anno fa, c'ero anch'io. E se non ne ho mai parlato diffusamente è perché non ho mai trovato le parole adatte per raccontare degnamente di qualcosa di unico. Oserei dire di irripetibile. Ma non si ripete solo se decidi (tu) di cristallizzare nella memoria l'Evento: perché niente impedisce a quanto pare (pare al Boss) che questi eventi alchemici, questi concerti magici, abbiano a ripetersi senza che da un tour italiano all'altro passi poi troppo tempo. Bruce Springsteen quando canta non canta: fa di più, ed è esattamente quello che fa quando suona: fa di più. I suoi concerti non sono concerti, almeno secondo i parametri e i codici che conosciamo: Bruce sta sul palco quasi quattro ore e canta (abbiamo detto che fa molto di più) come fosse il suo primo concerto o, meglio, come fosse il suo ultimo abbraccio al suo affezionatissimo e numerosissimo pubblico (sempre in delirio, sempre in deliquio). Ma sarebbe riduttivo dire che si tratta di un Artista generoso: egli è un artista, tra i più grandi a cavallo dei due secoli, che non si diverte se non si divertono fino alla commozione i suoi fans. Volevo commuovermi anch'io, lo scorso anno, in quelle lunghe, intense e splendide quattro ore: ma ha avuto il sopravvento l'adrenalina. Scorreva così copiosa e così intensamente da non permettere ai muscoli e al sistema cardio-circolatorio e a quello neurovegetativo di trovare requie: di allentare quella dolcissima tensione esasperata da tanta grandiosa bellezza regalata a pioggia, violenta come un uragano che speri non smetta mai di travolgerti e caldissima come il più torrido degli scirocchi che speri solo non smetta mai di soffiare. E "Born tor run", la sua canzone più bella (decretata da indagini e referendum di ogni tipo tra aficionados ed estimatori) è la canzone che raccontò quarant'anni fa (ma che racconta ancora) il suo progetto di vita e d'arte. Era poco più che ventenne Springsteen quando sconvolse le orecchie e le anime di chi ascoltò quello splendore che veniva direttamente dalla disperazione di non poter incontrare Elvis Presley e dalla voglia matta di superare il Poeta Dylan. Peccato che Presley era ormai al tramonto della sua vita di eccessi: avrebbe amato quel ragazzo italo-americano che non aveva la dolcezza della sua insuperabile voce ma che conosceva già i rudimenti per diventare il più grande di tutti. Gli scrittori americani che nella maggior parte dei casi non sono biliosi e non soffrono di invidie e gelosie imbattibili hanno riconosciuto e lo dicono ancora che Bruce è il più grande scrittore vivente: solo lui ha raccontato e continua a raccontare l'America come mai nessuno. E la canta come mai nessuno. Il più grande Artista vivente, secondo me.
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