venerdì 21 giugno 2013

Il gelato e la nonna

Quando ero bambino, ma proprio bambino-bambino, dunque moltissimi lustri fa, il gelato era rigorosamente al limone: dapprima fu il cono, ma poi feci la meravigliosa scoperta del panino: la brioche, che veniva chiamata se andava bene "brioscia", ma nella maggior parte dei casi "broscia", era un surrogato effeminato per palati delicati e in definitiva poco raffinati. Il gelato si mangiava e si leccava con un buon panino. Dopo il limone feci la conoscenza del gelato al caffè: con la caffeina avevo una discreta confidenza per via di certe bevutine che facevo in compagnia di una nonna piuttosto trasgressiva. Mi versava un terzo del suo caffè sul piattino. E non so come (così narrano le cronache) non ne versavo manco una goccia per terra. Per premio poi giocavamo, la nonna ed io, allo schiaffo. Ci mettevamo davanti alla finestra (abitavamo al primo piano) e cercavamo di indovinare il colore della macchina che sopraggiungeva: ne passavano, allora, con cadenza ritmica, una ogni cinque minuti. Quando indovinavo io, mollavo certi ceffoni che la nonna quasi barcollava: quando raramente azzeccava lei, mi lisciava con una carezza. Dopo le fatiche del gioco, il gelato. Da "Baddarà", una "dolceria" dietro l'angolo. Il sapore di quel limone non potrò mai più ritrovarlo non perché non ce ne siano di più buoni, ma perché ho cinquant'anni di più.

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