venerdì 10 maggio 2013

Miki ed io a spasso nel Marais

La frase pronunciata con enfasi sarcastica ("Ti vedrei bene con il tuo cagnolino per le strade di Parigi") dal primo addestratore capitato più per improvvisazione ed ignoranza (per caso) avrebbe dovuto mettermi sull'avviso: avrei dovuto salutarlo lì, su due piedi, e dirgli: ok, vado a Parigi, tu invece resta qui a fare il coercitivo ottuso per persone limitate che dei loro cani non hanno capitato un emerito cavolo. In realtà, se Palermo non fosse il disastro che è, sarebbe bello portare a spasso Miki come se ci si trovasse nel Marais o nel quartiere latino. Il coercitivo dalla quantità di neuroni limitati si riferiva al fatto che dal mio cagnolino non pretendevo cieca obbedienza ma complicità, amicizia, empatia, simpatia, fratellanza: sentimenti forti che un addestratore di retaggio pseudo-nazista non potrebbe capire neppure sotto tortura. Che il coercitivo fosse un tipo modesto e buono solo per ammansire dobermann e cani da combattimento irrequieti lo avrei dovuto capire dopo qualche minuto, la prima volta che lo incontrai in compagnia della mia adorata creatura. Testò Miki con un paio di pugnetti sul musetto (ahi) e un paio di pacche robuste sul costato (ahi). Miki si rattrappì, ebbe timore di ricevere un altro trattamento poco affettuoso e si mise buono, seduto, rassegnato. Ma quando fu provocato nuovamente e gli fu chiesto di obbedire ad altre assurdità, cercò di ribellarsi. Allora il coercitivo ottuso lo strattonò: Miki trovò il modo per non assecondare quella forma di violenza e riuscì a liberarsi della pettorina lasciando il tipetto con il guinzaglio in mano. Si mise a correre, io terrorizzato che potesse fuggire (chissà dove, sicuramente lontano dal tipetto) cercai di acchiapparlo inseguendolo. Miki, per puro gioco, si avviò, dribblandomi e lasciandomi a bocca aperta, nei pressi di un molosso vicino al suo proprietario. Il coercitivo urlando e correndo disse al padrone del pitt-bull di prendere il suo molosso e di mollare un calcio a Miki (sic!). Per fortuna non fu necessario ricorrere alla pratica selvaggia. Fui rimproverato di aver rincorso il mio cane. Io ero ignorante che più ignorante non si poteva. Ma lui si era fatto scappare il piccolo e tenero Miki: segnale evidente della sua gravissima incompetenza. Avrei dovuto mandarlo al diavolo in quella circostanza. Non lo mandai a quel paese neppure quando mi "vide" a Parigi. Ma alla seduta numero 17 lo mollai: finalmente mi era chiaro che non avevamo imparato nulla, Miki ed io: anzi, che il nostro rapporto si era complicato e che il signor coercitivo era, per entrambi, un inutile e dannoso interlocutore (sordo ed autistico). Poi, per fortuna, incontrai la scuola gentile. E la storia è cambiata di centoottanta gradi.

1 commento:

  1. Ci sono stati tanti cani nella mia vita. Di vario tipo. Non abbiamo mai fatto ricorso ad addestratoti. Basta essere gentili e parlare con loro gentilmente

    RispondiElimina