venerdì 12 luglio 2013
I Quattro G
Gibilrossa, luglio 1975. Reduci dalle fatiche degli esami di Stato, i quattro G, nome che affibbiai alla combriccola che riuniva Gaetano, Giovanni, Giuseppe (detto Pippo) e Gianni (il sottoscritto), decisero che era giunto il momento di festeggiare degnamente il conseguimento del diploma e tutto quello che il destino aveva già scritto per loro-noi. Il locale non era particolarmente attraente, ma era fresco e nessuno dei quattro aveva particolari esigenze se non quella di mangiare una buona pizza e bere un'ottima birra gelata. A parte le chiacchiere filosofiche che finivano per parare sulla bellezza degli occhi delle ragazze (Giovanni detestava che non chiamassimo col proprio nome quanto più si desiderava: sì, gli occhi erano lo specchio dell'anima, ma non erano esattamente le parti anatomiche di cui si discuteva con prosaico desiderio) si procedeva allegramente tra alti filosofici e bassi anatomici che chiamerei generosamente e tout-court, eros. La pizza era discreta, o mangiabile, come si diceva allora. Eravamo decisamente tutti e quattro di bocca buona. La birra andò giù piacevolmente e presto chiedemmo al cameriere segaligno e un po' indispettito dalla nostra vivacità carica di risate scroscianti un bis di bionda ben fredda . Giunse il momento più significativo: quello del brindisi con frasi magniloquenti e occhi lucidi (più per le risate che per la commozione). Alzammo i boccali e all'unisono li scagliammo in una memorabile esplosione non programmata, non ordita neppure minimamente. Birra e vetraglia ovunque e risate fino a piangere. E le urla del cameriere disgraziato e segaligno di cui ricordo solo una frase ridicola: sono stato giovane anch'io. Ma quando mai, non poteva essere giovane come noi. Noi eravamo belli e pimpanti, gli occhi delle ragazze erano lì ad aspettarci con grande impazienza. Fu un brindisi alla vita.
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