mercoledì 9 gennaio 2013

Povero cinema italiano

I registi mucciniani (i troppi epigoni di Muccino) che continuano a confezionare storie di cinguettii amorosi dovrebbero trovarsi un'altra occupazione: meno dannosa per il cinema italiano. Questa pornografia dei sentimenti che verrebbe spacciata come realtà e fotografia esistenziale dei trenta-quarantenni, adolescenti a vita, è una sbobba non più digeribile (e mai lo è stata). Ma ci avete fatto caso? Parlano tutti sussurrando velocemente e facendo il verso a Isabella Ferrari o a Laura Morante, a seconda se il copione prevede la donna tragico-esistenziale (che paio di palle) o quella nevrotico-isterica (che doppio paio di palle): ma che rottura di gonadi, basta! E pure i maschi così effeminati, con le pettinature ridicole e la camicia fuori dai pantaloni e che in recitazione valgono poco più di zero, con quella parlatina soffiata e depressa, infinocchiano lo spettatore assuefatto (e purtroppo ancora sprovveduto) ad ogni brodaglia. Se poi guardo il mio orizzonte, vedo la solta cartolina truce della mafia di maniera con la commissaria che sussurra minchiate e alla prima occasione si smutanda con il capo della Cia a Palermo. Tutto con quella parlata palermitana dicotomica: un po' cinemese (non palermitana e non catanese: del tutto reinventata, irritante fino all'urlo di Munch) e un po' slang strettissimo (appannaggio dei piccoli numi del cinema locale che di tanto in tanto si sdogana per andare a far visita alle multi-sale settentrionali): improponibile e involontariamente caricaturale: e che cazzo, basta! E poi gli epigoni del cinema del dopo-bomba, quello degli straccioni sottoproletari: quel cinema sa farlo solo Franco Maresco e imitarlo è perlomeno ridicolo e involontariamente grottesco. Piantatela con la lirica prosaica degli sdentati che puzzano di fame: non li conoscete. E se esistono ancora, hanno la parabola satellitare e lo smartphone.

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